Riccardo Carbone – Fotocronista a Napoli
Fotocronista a Napoli
Riccardo Carbone
Fotocronista a Napoli
Per più di cinquant’anni Riccardo Carbone ha visto Napoli dal mirino della sua macchina fotografica. Tutti i negativi che ha lasciato sono la registrazione fedele, giorno dopo giorno, delle gioie, delle passioni, dei dolori, delle speranze e delle ansie della città. Riccardo Carbone si definiva fotocronista: «Macchina in tasca, nervi a posto, un sorriso sulle labbra: me ne vado a caccia d’immagini d’attualità», così diceva raccontando il suo lavoro.
Possiamo immaginarcelo per le strade di Napoli, fotogiornalista del quotidiano «Il Mattino», a raccontare le trasformazioni negli anni della città. Ecco i fasti del Ventennio con i suoi riti del consenso, poi la guerra, la distruzione ed il drammatico dopoguerra. E, finalmente, la libertà e le prime elezioni politiche, la ricostruzione, la ripresa, la speranza che si risveglia, gli ammodernamenti e Napoli che si fa di nuovo bella.
Dopo il 25 aprile, con il ritorno della democrazia, in Italia è tutto un fiorire di iniziative editoriali. «L’Italia – scrisse Emilio Radius – è tutta da scoprire.» Nasce il fotogiornalismo moderno, e Riccardo Carbone è uno dei protagonisti. Spuntano piccole agenzie di cui il fotografo è spesso proprietario. Riccardo Carbone dà il suo contributo in questo fervore con la sua «Fotoagenzia Napoli», così come fanno Giulio Torrini che fonda a Firenze l’omonima agenzia, Carlo Riccardi a Roma o i fratelli Vincenzo e Guglielmo Troncone, sempre a Napoli, che scoprono e raccontano per i quotidiani la nuova Italia che sta nascendo.
Riccardo Carbone nacque a Napoli nel popolare quartiere Mercato il 17 aprile 1897. Abbandonò la facoltà di Chimica per limitarsi alla chimica della camera oscura. Fino a quando le ha utilizzate, preparava le lastre con la gelatina sensibile. Agli inizi degli anni ‘20 entra a far parte del «Mattino» di Eduardo Scarfoglio. È il figlio Paolo che lo assume con la qualifica, insolita per quei tempi, di «redattore fotografo», e a tutti gli eventi è accreditato come giornalista. Tale resterà fino al 1970. Morirà tre anni dopo.
Carbone inizia a fotografare il Fascismo con tutte le limitazioni e le censure che il regime imponeva alla stampa. Ne fissa i miti, le imprese, i fasti e le illusioni. Segue a Napoli la Casa reale, ma è sempre attento a fermare sulla pellicola ogni aspetto della Napoli del Ventennio, con tutti i suoi volti, quello borghese e colto (sua la foto di Vincenzo Gemito intento a modellare il busto di Raffaele Viviani) e quello della Napoli popolare e pittoresca che attrae il pubblico straniero. Sì fa presto il nome di fotografo attento e affidabile, e per la visita di Hitler a Napoli, il 5 maggio del 1938, benché ci fosse già una consistente “copertura” di fotografi e cineoperatori dell’Istituto Luce, il caporedattore del «Popolo d’Italia» con una lettera si assicura il contributo di Carbone, perché, spiega, «abbiamo necessità di un buon servizio fotografico, soprattutto sollecito».
Dal 1943 al 1945, nella Napoli occupata e poi bombardata, Carbone riduce l’attività. Il suo giornale viene chiuso. Lui è uno sfollato tra i tanti. Finita la guerra, però, si tuffa subito nel futuro della Napoli da ricostruire. Ai figli della lupa si sono sostituiti gli sciuscià affamati e cenciosi. Uno scatto dopo l’altro: ecco tutta la «Napoli Milionaria» di Eduardo, la Napoli della «Pelle» di Malaparte o quella raccontata da De Sica e Rossellini. Ma poi, vivaddio, ecco la città che, pian piano, si rimbocca le maniche, che costruisce: il nuovo aeroporto di Capodichino, per esempio, o il Palazzo Nervi della Ferrovia, il complesso industriale di Bagnoli.
Il lavoro è tanto. Spesso anche dieci servizi al giorno. Perché Carbone, terminato il lavoro per il giornale, continuava a fotografare cose lo colpivano per suo piacimento. Ha uno sguardo ampio, come le sue fotografie. Difficilmente si avvicina a meno di tre metri dal soggetto. Il primo piano è proprio raro.
Napoli è una miniera. La Leica (Per fortuna esiste la Leica! dirà) sostituisce le Rolleiflex e le Voigtlander. Ha bisogno di velocità. Napoli è in grande attività. Ci sono i grandi fatti di cronaca nera, c’è il vissuto quotidiano con i personaggi del popolo, ma ci sono anche i grandi nomi della cultura, dello sport, dello spettacolo, non solo napoletani o italiani ma anche stranieri, da fotografare e… dare al giornale.
A partire dagli anni Sessanta il porto di Napoli è lo scalo più importante per venire in Europa da Oltreoceano. E Carbone è lì quando attraccano i grandi transatlantici, pronto a fotografare: Stravinskij, Hemingway, Steinbeck, Charlie Chaplin, Liz Taylor, Rita Hayworth, Spencer Tracy e l’elenco potrebbe non finire più.
Quanto Riccardo Carbone ha lasciato è conservato adesso nell’Archivio che prende il suo nome. È tutto su una parete, in scatole numerate e allineate. Contengono i suoi negativi, minuziosamente catalogati. È un archivio vivo, perché poco alla volta, ogni singolo negativo viene digitalizzato e reso accessibile a tutti on line grazie al contributo di «Regesta» che ha già permesso di riversare sul web le prime 60 mila immagini dei 600 mila negativi, delle duemila stampe e di circa duemila lastre fotografiche che costituiscono il patrimonio lasciato dal fotografo. Tutto fa capo all’ «Associazione Riccardo Carbone», una Onlus presieduta dal figlio Renato. Ne fanno parte Letizia Del Pero e i cugini Federica e Giovanni Nicois. Renato ritrova il padre tutte le volte che scannerizza un fotogramma: «A 16 anni mi mise la macchina fotografica in mano svelandomi tutti i trucchi e i segreti del mestiere. Spesso mi portava con sé. Sono diventato fotografo così.»
L’Archivio è l’album di Napoli: «Avevamo un bene di famiglia, – dice Letizia Del Pero – ne abbiamo fatto un album di una famiglia più grande. È diventato adesso un bene di tutti». L’Associazione si è costituita nel 2016, ma soltanto di recente ha potuto beneficiare di un contributo, necessario per continuare il loro lavoro di salvataggio dell’archivio. Le hanno provate tutte, anche promuovere un crowdfunding al quale la gente ha risposto con generosità. Hanno scelto i social per farsi conoscere. «Abbiamo iniziato questo viaggio pensando fosse doveroso recuperare e restituire alla città un patrimonio unico. – dice Giovanni Nicois – Non credevamo di incontrare così tante persone disposte a darci una mano.»
È possibile “adottare” ad esempio singoli “servizi giornalistici “con un piccolo contributo ed anche acquistare stampe delle sue fotografie. Erano partiti con l’idea di salvare pellicole che col tempo potevano ammuffire. Oggi, con il catalogo on line, consentono di aprire uno scrigno che conserva una memoria di Napoli lunga cinquant’anni. Basta fare un clic. Proprio come faceva Riccardo Carbone.
Giovanni Ruggiero
[Questo articolo è apparso sul numero di novembre 2021
di FOTOIT, l’organo ufficiale della Federazione Italiana
delle Associazioni Fotografiche, diretto da Cristina Paglionico.]