SIAMO TUTTI INSIGNIFICANTI/PEPPE PAPPA

Movimento Aperto

SIAMO TUTTI INSIGNIFICANTI/PEPPE PAPPA

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Giovedì 7 marzo 2024 a Movimento Aperto, via Duomo 290/c
Napoli, dalle ore 17 alle 20 si inaugura 2024 Peppe Pappa ,
personale di Peppe Pappa . La presenta Stefano Taccone.
In mostra sulla parete maggiore un ampio banner dove si
legge: “SIAMO TUTTI IN-SIGNIFICANTI “ mentre sulla parete
di fronte un grande specchio rimanderà, sovrapponendole, le
immagini dei visitatori e dello stesso banner.

“Su una parete lo sfondo nero e le lapidarie parole, oggi stampate in digitale ma
adoperando il carattere delle lettere che servono a suo tempo a Peppe Pappa e compagni
per condurre “guerriglie semiologiche” in uno spazio pubblico che equivale solo e
soltanto a quello urbano. Sulla parete opposta un semplice specchio, capace di includere,
loro malgrado, ciascuno degli spettatori nell’opera e soprattutto di rivolgere loro l’amara
constatazione contenuta nel banner: SIAMO TUTTI IN-SIGNIFICANTI. Te lo sta dicendo
Pappa dopo sessant’anni di carriera artistica percorsa in direzione ostinata e contraria e
segnata, peraltro, da un constante interesse per le potenzialità dei nuovi media”, così
scrive Stefano Taccone nell’ampio scritto, che verrà integralmente pubblicato nel
catalogo, a conclusione della mostra, uno scritto che aiuta a comprendere a che punto si
trova oggi il confronto a proposito dei nuovi media e del come questi sempre più
direttamente condizionino la società e la comunicazione. Molti decenni orsono Marshall
McLuhan e poi Baudrillard denunziano una realtà in cui “ogni battaglia si
tramuterebbe in teatro, gioco, finzione. Ogni slancio autentico, ogni passione che
muove l’animo umano ad agire si scoprirebbe infine una recita neanche troppo
dissimulata nei confronti di se stessi”, contestati in seguito da Hans Haacke,” uno
dei maggiori artisti “politici” della seconda metà dello scorso secolo , benché
rifiuti sempre tale etichetta”. Oggi, nel nuovo millennio , continua Taccone, “la
grande utopia cyber-attivista degli anni Novanta, quando navigare in rete è
ancora una attività pionieristica, cade, come prevedibile, di fronte alla superiorità
dei grandi colossi del settore, in grado così di orientare i nostri stili di vita, i nostri
modi di pensare, le nostre cose da desiderare”, scrive Stefano Taccone nel suo
documentato testo di cui mi permetto di citare qualche frase, rinviando ad una
lettura integrale. “Ma infine cosa ci sta dicendo Pappa? Dovremmo davvero
essere arrabbiati? Ci sta provocando? Ci sta prendendo in giro? Ci sarebbe da
venire alle mani come accade immancabilmente un secolo fa durante le serate
futuriste? Nulla si può escludere, certo”. Credo che bisognerà intervenire per
saperlo.
Peppe Pappa, formatosi all’Istituto d’Arte, comincia ben presto una carriera di docenza. Alla metà
degli anni sessanta conosce LUCA con il quale collaborerà a più riprese negli anni successivi, tiene
nel 1966 una doppia personale con Baldo Diodato alla Galleria di Lucio Amelio , con un testo di
LUCA ,e nello stesso periodo entra nel gruppo Studio P.66, realizza allora installazioni e
performance. Nel 1975 è alla Quadriennale di Roma e l’anno dopo alla Biennale di Venezia con gli
artisti operatori nel sociale individuati da Crispolti. Coniuga interventi nel sociale ed attivismo
politico. Si dedica a performance minime ed alla Mail Art. Nel 1995 la personale “Solitudine
internet” a Castel Nuovo e poi “Tsunami, architettura di un’onda anomala” nel 2005, “Ecoballe”
nel 2008,” Articolo 18” nel 2012 e sempre a Movimento Aperto”, Proiettili a disposizione” nel
2016, per citare solo alcune più significative personali.

Perché siamo tutti in-significanti? Testo Stefano Taccone

Perché siamo tutti in-significanti?
“Il medium è il messaggio”: è il celebre motto con cui si è soliti
sintetizzare le teorie sulla comunicazione di Marshall McLuhan, per il quale è
importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in
base ai criteri strutturali con cui organizza la comunicazione, e ciò tanto più in
un’era tecnologica. 1 Non molto tempo dopo, Jean Baudrillard – guardando, tra
l’altro, allo stesso pensatore canadese, ma sfoggiando accezioni maggiormente
apocalittiche – comincia a parlare di simulacri senza contenuto, di un mondo
cioè ove il mero significante è divenuto l’autentico significato. 2 Tale inversione
spalancherebbe inevitabilmente il vertiginoso universo del non senso. Ogni
battaglia si tramuterebbe in teatro, gioco, finzione. Ogni slancio autentico, ogni
passione che muove l’animo umano ad agire si scoprirebbe infine una recita
neanche troppo dissimulata nei confronti di se stessi.
Negli anni Ottanta, allorché raggiunge forse il culmine del successo,
rappresentando uno dei maggiori vati della “condizione postmoderna”,
Baudrillard viene assunto più volte come bersaglio da Hans Haacke, uno dei–
benché maggiori artisti “politici” della seconda metà dello scorso secolo rifiuti
sempre tale etichetta. «Ciò che Baudrillard ha perso sempre di più, e i suoi
discepoli con lui», sostiene l’artista tedesco in dialogo con Pierre Bourdieu nel
1994, «è il senso della storia e dei conflitti sociali che, al di là dei fuochi
d’artificio delle stupidaggini alla moda, non si risolvono nel virtuale. In sintesi,
hanno perduto il senso della realtà. È questa l’estasi della comunicazione, stato
quasi mistico in cui attendono la liberazione dalla realtà che ci fa arrabbiare
tutti i giorni. In più, questo miracolo sta avvenendo, come per il Barone di
Münchhausen, attraverso la stessa comunicazione che i fedeli praticano. Allora,
se non c’è più realtà, non c’è più ragione di combattere…». 3 Ma si sa che gli
artisti parlano innanzi tutto con le immagini: fin dal 1988 Haacke realizza
infatti un ready-made satirico, come si comprende dal gioco di parole dello
stesso titolo, L’estasi di Baudrichard – derivante dalla contrazione di Baudrillard
e Richard, che si riferisce alla R. del celebre pseudonimo duchampiano R. Mutt.
Qui un asse da stiro regge un orinatoio dorato – entrambi chiari riferimenti a
Duchamp – e lascia pendere un secchio da pompiere pieno d’acqua che viene
sparata attraverso un tubo di gomma fino a fuoriuscire dalla parte superiore
dell’orinatoio, per passare quindi nel buco sul suo fondo e infine tornare nel
secchio. Se l’estasi del titolo dell’opera allude all’espressione tipicamente
baudirllardiana, “estasi della comunicazione”, l’opera di Haacke, fondata su una
dinamica assolutamente improduttiva, inutile, una “macchina celibe”, si
potrebbe dire parafrasando Duchamp, intende denunciare tutta la nullità e

1 Cfr. M. McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, 1964 trad. it. Gli strumenti
del comunicare, Feltrinelli, Milano, 1968.
2 Cfr. Jean Baudrillard, L’Échange symbolique et la mort, 1979 trad. it. di G. Mancuso, Lo
scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 1979; Simulacres et Simulation, 1981 trad. it.
Simulacri e impostura. Bestie Beaubourg, apparenze e altri oggetti, a cura di M.G. Brega,
Pgreco, Milano 2008.
3 P. Bourdieu, H. Haacke, Libre-Échange, Seuil/les presses du réeel, Paris, Dijon, 1994, pp. 45-
47.

l’inconsistenza cui ai suoi occhi approderebbe, in ultima analisi, il discorso del
filosofo francese.
Ma a distanza di trenta-quarant’anni a che punto è il conflitto tra artisti –
e individui in generale – che proclamano l’inevitabilità, prima ancora della
necessità, di agire sulla realtà e pensatori della derealizzazione – e suoi
discepoli a vari livelli – che invece additano il velleitarismo dei primi,
rammentando gli universi del virtuale? Probabilmente la questione è già in sé
mal posta, in quanto ricalcata sui modi di vita occidentali tipici del periodo a
cavallo degli anni Ottanta e Novanta. Oggi anche le visioni maggiormente
critiche non possono più pensare ad una opposizione così netta tra reale e
virtuale che ancora sottende quei modi, pensano da un bel po’ il virtuale come
una parte del reale, anche perché nel frattempo esso erode sempre più
prepotentemente le relazioni “in presenza”, trovando il suo trionfo nel tempo
pandemico.
In verità proprio negli anni in cui Haacke attacca Baudrillard la
generazione più giovane di creativi e attivisti formula le prime strategie di lotta
contro il potere da giocare nel campo del virtuale, ed esiste ormai una
letteratura sterminata su queste pratiche che fioriscono in tutto il mondo, Italia
compresa, lungo tutto il decennio Novanta, hanno un ruolo chiave nella
parabola del movimento no global e dello stesso luglio genovese del 2001, ma
poi, a partire dall’11 settembre, entrano in un costante declino, subendo le
restrizioni delle maglie del controllo. 4 Oggi, come pure studiosi neanche
particolarmente radicali si incaricano di fatto di dimostrare, lo spazio virtuale
costituisce il luogo di più agevole esercizio della polizia planetaria, sia perché è
diventato praticamente impossibile a qualunque essere umano che viva nel
contesto del capitalismo avanzato sottrarsi ad esso, sia perché non sottrarsi
significa inevitabilmente consegnare gratis una enorme quantità di dati alle
élite globali, a partire naturalmente dalle proprie generalità. 5 La grande utopia
cyber-attivista degli anni Novanta, quando navigare in rete è ancora una
attività pionieristica, cade, come prevedibile, di fronte alla superiorità dei
grandi colossi del settore, in grado così di orientare i nostri stili di vita, i nostri
modi di pensare, le nostre cose da desiderare.
Di fronte a questo scenario, certo, vi è ancora chi fa finta di niente. Vi è
ancora chi proclama, in maniera un po’ miope e consolatoria, che i mezzi sono
neutri e dipende da come si usano. Che essere utenti della rete in un contesto
così oligopolizzato non sia sostanzialmente diverso, sul piano politico, dal fare
la spesa in un supermercato. Altri invece hanno il coraggio, pur servendosi
4 Cfr. almeno G. Meikle, Future active: media activism and the internet, 2002 trad. it.
Disobbedienza civile elettronica, Apogeo, Milano, 2004; A. Di Corinto, T. Tozzi, Hactivism. La
libertà nelle maglie della Rete, Manifestolibri, Roma, 2002, nonché il mio Arte, attivismo e rete.
Appunti ed ipotesi per un percorso storico, in G. Di Rosario, L. Masucci (a cura di), OLE Officina
di Letteratura Elettronica, atti del convegno, PAN Palazzo arti Napoli, 20–21 gennaio 2011,
Atelier Multimediale edizioni, Napoli, 2011.
5 Cfr. S. Zuboff, The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New
Frontier of Power, 2019 trad. it. Il capitalismo della sorveglianza. Il future dell’umanità nell’era
dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2019. Per una interessante lettura critica da
sinistra del fenomeno della cattura perpetuata dai social media cfr. Wu Ming 1, La Q di
Qomplotto. QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema, Edizioni
Alegre, Roma, 2021, pp. 235-251.

comunque della rete, di riconoscere a se stessi il compromesso della gabbia
dorata, che forse stipulano in un primo momento senza il necessario livello di
coscienza, ma che ormai è sempre più evidente. Quando si comprende di
muoversi al suo interno è difficile credere ancora in un futuro prossimo in cui
gli equilibri di potere possano essere ridefiniti. L’utente si perde nel mare
magnum dell’insignificanza reale e percepita in mezzo ad altri milioni e milioni
di aggregati di pixel senza corpo.
Su una parete lo sfondo nero e le lapidarie parole, oggi stampate in
digitale ma adoperando il carattere delle lettere che servono a suo tempo a
Peppe Pappa e compagni per condurre “guerriglie semiologiche” in uno spazio
pubblico che equivale solo e soltanto a quello urbano. Sulla parete opposta un
semplice specchio, capace di includere, loro malgrado, ciascuno degli spettatori
nell’opera e soprattutto di rivolgere loro l’amara constatazione contenuta nel
banner: SIAMO TUTTI IN-SIGNIFICANTI. Te lo sta dicendo Pappa dopo
sessant’anni di carriera artistica percorsa in direzione ostinata e contraria e
segnata, peraltro, da un constante interesse per le potenzialità dei nuovi
media. Lo sta dicendo anche a se stesso. Lo sta dicendo dopo aver condotto un
severo lavoro di limatura, partendo da costrutti più complessi ed articolati. Alla
fine, il risultato appare talmente immediato da somigliare ad un meme, quelle
brevissime frasi ad effetto, magari corredate da una foto, che girano sui social
guadagnando una quantità innumerevole di reazioni e commenti; destinati ad
essere apprezzati come ad essere maledetti, ché l’uno e l’altro atteggiamento
non farà che portarli al successo, giacché quello che conta è il numero delle
visualizzazioni.
Il “meme” di Pappa è però rigorosamente ambientato in uno spazio
espositivo reale. E quindi in questa occasione gli eventuali improperi potranno
essere pronunciati guardandosi negli occhi. Certo, quando ci si trova faccia a
faccia, agli istinti “animali” che si liberano negli spazi virtuali subentra
nuovamente l’ipocrisia e la parvenza di rispettabilità che chiede di non
esplicitare ciò che si pensa di negativo, perché se io parlo male di loro poi loro
parleranno male di me. Ma quando si è a tu per tu tutto è comunque meno
camuffabile. I sentimenti contrastanti si schermano a fatica. È difficile
nascondere il disgusto, almeno quando esso raggiunge una certa soglia, così
come è impossibile fermare il tipico arrossire per timidezza, anche se la
medicina arriva anche qui, mettendo a disposizione una operazione chirurgica
che permetterebbe all’individuo di eliminare per sempre quell’involontaria
rappresentazione di imbarazzo, che peraltro non fa che elevarlo al cubo.
Ma infine cosa ci sta dicendo Pappa? Dovremmo davvero essere
arrabbiati? Ci sta provocando? Ci sta prendendo in giro? Ci sarebbe da venire
alle mani come accade immancabilmente un secolo fa durante le serate
futuriste? Nulla si può escludere, certo. A ben vedere però il suo messaggio
potrebbe equivalere più ad un fingere un carattere apodittico che a possederlo
davvero. Perché infatti inserire quel trattino tra “in” e “significanti”? Siamo di
fronte ad un elemento a prima vista insignificante, ma non di meno
inevitabilmente capace di rendere il significato dell’intera operazione
terribilmente più ambiguo. Lo spettatore allora frena i suoi impulsi più

immediati – di approvazione o di biasimo che siano – e si pone in uno stato
interrogativo.
E se l’artista volesse alludere piuttosto al fatto che ogni spettatore, nel
momento in cui si accosta all’opera, non è solo spettatore ma parte stessa del
sistema di segni significanti di essa, tanto più in presenza di uno specchio? Se
quell’in volesse suggerire, in altre parole, che siamo dentro l’opera trasformati
in significanti? Allora tutto potrebbe volgersi persino in un incoraggiamento,
malgrado il lugubre sfondo. Un invito a riprendere coscienza del fatto che, pur
non essendo più la tecnica un semplice strumento da utilizzare, ma un vero e
proprio habitat nel quale ormai ci muoviamo come tra i boschi, i prati ed i fiumi
dei nostri antenati – questa l’enorme differenza tra i tempi recenti e la gran
parte della vicenda umana pregressa, acutamente rilevata, tra gli altri, da
Jacques Ellul 6 e da rammentare a quelli che “la tecnica esiste fin da quando
l’uomo era cacciatore e raccoglitore” -, la natura umana è indisponibile ad ogni
annichilimento e dei margini di scelta, dunque dei margini di azione morale e
politica, esistono ancora.

Stefano Taccone

Registrazione all'evento conclusa.
 

Data e ora

2024-03-07 to
2024-03-27
 

Data di fine Iscrizione

2024-03-27
 

Tipologie di evento

 

Categoria dell'evento

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