L’artista come educatore

Questa lettera-manifesto è stata scritta da ALA – Accademia Libera delle Arti e indirizzata agli artisti che hanno a cuore l’educazione. Una nuova missiva dalla prof Maria Rosa Sossai.

Heinrich Böll

Cari artisti,
in molti consideriamo superata la divisione tra opera d’arte e azione educativa. Gli artisti si riappropriano del ruolo centrale nel processo di apprendimento/insegnamento, che diventa uno spazio di libertà e azione con una responsabilità condivisa che si sviluppa nel riconoscimento reciproco e in presenza di empatia umana e intellettuale. L’azione educativa e l’arte hanno il compito di promuovere il dialogo e riflettere sul potere di chi insegna, introducendo modelli pedagogici flessibili e innovativi. Il contratto educativo fra artisti-docenti, studenti di tutti gli ordini di scuola e adulti è un’esperienza di crescita autonoma, qualificata, soggettiva e al tempo stesso collettiva.
È giunto il momento di riscoprire il piacere di incontrarsi e di mettere in moto meccanismi virtuosi di riconoscimento delle potenzialità creative, in grado di produrre felicità. È importante riconoscere l’importanza del contesto e sentire la propria responsabilità di fronte all’attuale crisi dello stato sociale e culturale. Ecco perché, in un momento in cui sembra non esserci una rete di salvataggio, gli artisti svolgono il ruolo di cittadini dando ai loro progetti un’aura di necessità e autenticità. Rifiutiamo la strumentalizzazione del lavoro artistico in funzione di logiche estranee alla creazione e finalizzate esclusivamente al profitto. Appoggiamo la realizzazione di prototipi educativi alternativi che possano essere condivisi e sperimentati da più soggetti. Chiediamo alle istituzioni private e pubbliche – fondazioni, dipartimenti di didattica dei musei, associazioni, centri sociali ecc. – di promuovere modelli democratici di diffusione e divulgazione dell’arte contemporaneaL’obiettivo è produrre immaginari sociali alternativi, attivando un cambio di prospettiva che permetta all’artista insieme alla comunità di guardare al di là e al di fuori dell’ordine prestabilito. Per riappropriarsi della produzione culturale, rivediamo i meccanismi che sottendono l’ideazione, la divulgazione, la realizzazione dell’opera d’arte. Fare arte significa attivare senso civico e senso di responsabilità critica con progetti che stimolano una consapevolezza reale nella collettività. Prendiamo posizione contro una politica che relega la cultura a un ruolo marginale e sussidiario su cui non vale la pena investire energie e incapace di produrre occupazione e contro un modello di lezione frontale dichiarata obsoleta da studi pedagogici recenti e inadeguata ad affrontare la complessità della comunicazione multimediale della Rete.
La progressiva riduzione degli spazi di libera sperimentazione condizionano l’arte nei modi più diversi e la dirigono verso forme espressive appetibili, capaci di intercettare il gusto estetico di un’utenza per la quale l’opera è sovente uno status symbol da esibire, alla stregua di altra merce di lusso presente sul mercato. Alcune esperienze storiche e recenti hanno dimostrato che le azioni educative ed espressive sono parte integrante dello stesso processo creativo; ricordiamo tra le altre il Free International College creato da Joseph Beuys a cui fece seguito la Free International University for Creativity and Interdisciplinary Research insieme allo scrittore Heinrich Böll); la didattica del desiderio sviluppata da Gina Pane durante gli anni di insegnamento; The Theater of the Oppressed di Augusto Boal, Curating and the Educational Turn, Night School, Sixteen Beaver Group,MoMA Trade School.

The Theater of the Oppressed di Augusto Boal

Anche se non è realisticamente ragionevole sottrarsi ai meccanismi del sistema dell’arte, rivendichiamo per l’artista momenti e occasioni di sperimentazione e ricerca il più possibile autonome. Il contesto appropriato per esercitare tale diritto è l’ambito educativo, inteso nella sua accezione esistenziale, che permette una rinascita del sapere su basi più eque e creative.

Maria Rosa Sossai

Articolo pubblicato su Artribune